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È il 1991, e a Vukovar, sulle sponde del Danubio al confine tra Croazia e Serbia, sta arrivando la guerra. Una famiglia, due figli, l'improvviso irrompere della violenza, la fine di ogni sicurezza. I genitori nascondono alla bambina e al ragazzo la gravità della situazione e preferiscono tenerli lontani e al sicuro, mandandoli da soli al mare, in vacanza. Alla fine dell'estate anche la madre li raggiunge e da qui in poi la loro trasferta si trasforma a poco a poco in esilio. Vukovar viene devastata e non si ricevono più notizie del padre scomparso durante l'assedio da parte della milizia serba. I tre alloggiano all'Hotel Zagorje, un albergo costruito a Kumrovec, città natale di Tito, sede negli anni '70 della Scuola del Partito Comunista, da loro ribattezzato «Hotel Tito». È un campo esuli e un asilo di protezione per chi è riuscito a sottrarsi al conflitto, e la bambina vede la sua vita e quella della sua famiglia cambiare in modo radicale. Il distacco, l'isolamento, la guerra, si prolungano sempre di più, e quella che sembrava una situazione straordinaria diventa la normalità. Per sette anni, in quell'hotel, la bambina non perde mai la speranza e il coraggio, stringe nuove amicizie, diventa grande nella lotta incessante per qualche metro quadrato in cui stringersi con la madre, perennemente preoccupata per la sparizione del padre, accanto al fratello, sempre indocile e in collera per l'immobilità del governo. Ed è lei a raccontare un intero mondo che sta sparendo, lo stravolgimento della storia, la rivoluzione di un presente che arriva a sradicare le abitudini e gli affetti, i sogni e le speranze per il futuro.